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Bomb it: graffiti documentary

Bomb it - The Movie

Per tutti gli amanti della street art vi segnaliamo il documentario realizzato da Jon Reiss, Bomb it – The Movie.

Sono davvero innumerevoli gli esempi di graffiti presentati, alcuni dei quali da lasciare senza fiato.

Bomb it traccia la storia della street art dalla scena newyorchese degli anni settanta ai più interessanti artisti contemporanei. Difficile contestare le questioni toccate dal film, come il diritto all’espressione e all’uso dello spazio pubblico, quando si è messi di fronte a capolavori come quelli dei brasiliani Os Gemeos: chi mai gli negherebbe un muro di casa propria? (Internazionale)

Prendetevi qualche minuto, mettetevi comodi e sintonizzatevi sul canale dedicato al documentario su Babelgum: oltre al film intero, potete comodamente selezionare i singoli artisti.

Mr. Writer

Palazzo da ristrutturare? Utilizza i Lego

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Vi siete imbattuti ultimamente in qualche centro urbano un po’ fatiscente? Bene, sappiate che crepe, buche e pareti rovinate possono essere “aggiustate” lasciando perdere cemento e mattoni.

Anzi, in un certo senso, sempre di mattoni si tratta: più precisamente di mattoncini colorati, i Lego!

Questo, almeno, è quello che pensa l’artista Jan Vormann quando installa i suoi “Dispatchwork”.

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Installazioni davvero originali che prendono di mira non solo palazzi, ma pure monumenti storici, muretti, cancellate. Spesso viene aiutato dalla gente del posto nella sua attività di “ristrutturazione”, in una sorta di arte collettiva.

I suoi “Dispatchwork” sono stati avvistati in Israele, Amsterdam, Berlino e pure a Bocchignano, nel Lazio.

Per farsi un’idea del suo lavoro vi consiglio di visitare il suo portfolio web, ricco di belle immagini.

Mr. Writer

STREET ART SWEET ART…LA GALLERIA A CIELO APERTO SI TRASFERISCE NEL WEB 2.0

Mai come in questo periodo, o meglio giorni, la tradizione del graffitismo, del writing e della Street Art intesa nel suo senso più allargato è arrivata a irrompere con così tanta forza sullo scenario contemporaneo. Quest’arte di disturbo, che ama nutrirsi del rischio di uno scontro con le autorità pare abbia trovato paradossalmente (?) un museo, una sistemazione: si tratterebbe di uno Street Museum, per l’esattezza.
Tralasciamo le questioni politiche. Il progetto in fase di lancio è curato da TIM Tribù: si propone sostanzialmente di censire, grazie al contributo degli utenti, e soprattutto mappare (attraverso Google) le migliori opere di arte urbana.

Così lo Street Museum sarà un luogo virtuale, un grande museo on line a cielo aperto: per realizzarlo, gli organizzatori di TIM Tribù invitano già da ora il pubblico della Rete a segnalare le opere preferite inviandone una foto via MMS o caricandola sul sito dell’iniziativa www.timtribu.it.
Ai curatori 2.0 di questo che si propone come il primo museo user generated sarà affidato il privilegio di tenere aggiornato lo stato dell’arte, fornendo informazioni sulle opere e gli artisti.
I lavori in gara saranno commentati, votati e supportati dagli utenti che determineranno la rosa dei primi 100, di diritto nello Street Museum. Le opere più meritevoli di entrare nel pantheon della Street Art verranno scelte e votate soltanto dagli utenti.
L’idea è sicuramente geniale d’accordo, ma non ho potuto fare a meno di riprendere in mano il catalogo della mostra Street Art Sweet Art tenutasi nella primavera del 2007 al PAC di Milano, dove Jacopo Perfetti scrive: “ […]  un’arte nata sui muri, fruita quando ancora la vernice è fresca e cola tra le insenature di una superficie ruvida che gli dona vita. Questa è la vera potenza della street art, la sua genuinità. Perché chi dipinge su un muro lo fa solo per il bisogno di fare arte, per il bisogno di conquistare spazi che gli vengono negati, per dare il suo contributo al prossimo. Per stupirlo, per irretirlo, per donargli una parte di sé. Un ‘opera di street art non può essere venduta. Non segue direttive esterne da chi la produce. È estranea a qualsiasi dinamica corrosiva e claustrofobica. Annulla qualsiasi intermediario e riporta l’arte a parlare con il proprio pubblico.
Potrebbe avere un senso costruire un museo e soprattutto una mappatura di qualcosa che ogni giorno corre il rischio di essere cancellato ma che allo stesso tempo trae la sua forza e il suo fascino proprio da questo quotidiano rischio? Cosa ne pensano gli artisti? Intendo quei writer che troveranno catalogate involontariamente le proprie opere?

Hannah Höch